Ho 55 anni e sono un dentista. Ho lavorato sodo per raggiungere quello che sono oggi, ed alla soglia dei 50 anni, ho sentito la necessità di dedicare parte del mio tempo e delle mie energie per il prossimo più bisognoso. Ed il destino ha voluto che un mio caro amico, mi parlasse dell’India e che si apprestava a fare una esperienza di volontariato odontoiatrico, presso un orfanotrofio indiano gestito da una piccola onlus di nome Care & Share. Così, ormai da sette anni, nelle prime due settimane di marzo ci rechiamo a Daddy’s Home, questo il nome dell’orfanotrofio, per cercare di dare il nostro piccolo aiuto a questi bambini bellissimi.
Quando parlo della mia esperienza indiana, mi rendo conto di eccedere con l’entusiasmo e temo di incorrere nella trappola di un buonismo inutile e melenso. Quindi in queste poche righe sarò quanto più pragmatico possibile nel descrivere la mia quotidianità di volontario all’orfanotrofio. Viaggio con cambio di tre/quattro aeroporti sufficientemente stancante. Arrivo in orfanotrofio accolto dai sorrisi dei bimbi, che non ricordano mai il mio nome, dallo staff e dalla ragazza diciottenne che sponsorizzo. Via in infermeria a sistemare il materiale di consumo che portiamo dall’Italia, per poter lavorare e controlliamo che tutti i macchinari funzionino (spesso soltanto una speranza illusoria). Un saluto speciale alla direttrice dell’infermeria Swarna con cui si è instaurato un rapporto speciale.
Il giorno dopo, ore 8.30, si comincia. Visite ai bambini che ci accolgono con un sorriso che, nasconde qualche volta, un po’ di timore per il dentista. I bimbi tolgono le scarpe per salire sulla poltrona del dentista e quando abbiamo terminato la terapia ci salutano, dopo aver ritirato il regalino che, per ognuno di loro, portiamo dall’Italia, con un grazie che ci riempie il cuore. Così volano le giornate del dentista a Daddy’s Home, tra lavoro, chiacchiere con Ugo (l’amico che mi ha coinvolto in questa esperienza), risate con lo staff dell’infermeria ed altri piacevoli “rapporti umani”.
Una cosa è certa dopo 8/10 ore di lavoro in condizioni abbastanza precarie mi accorgo di non essere per niente stanco. Quindi, a fine giornata, c’è sempre il tempo per una visita ai neonati ed ai bimbi di Angel’s Home o per visitare le altre case ed organizzare la lezione di igiene dentale e la distribuzione degli spazzolini (dolce delirio). Ogni tanto Patrizia ci coinvolge in qualche scorribanda delle sue, in città, per gli acquisti più urgenti per i bimbi: Ugo ed io la seguiamo senza fare domande da bravi “sherpa”. Questa la nostra quotidianità in India.
Potrei concludere con le considerazioni già scritte mille volte: il volontariato fa più bene a chi lo pratica che a chi riceve, il sorriso dei bimbi ti riempie il cuore ecc. ecc. In realtà io sto bene in India perché mi allontano dalla quotidianità alle volte stressante, sto bene perché condivido giornate intere con Ugo, dal quale in Italia ci separano 1000 chilometri, sto bene perché Patrizia è diventata da “moglie del mio amico” mia amica, sto bene perché insegno ai bimbi alcune parole del mio dialetto, sto bene perché “donarsi” da dipendenza, sto bene perché nei cespugli la sera, per la prima volta, ho visto le lucciole.
Erminio Rotunno
Fasano (BR)
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