Sofia: una oculista un po’ atipica

Sofia: una oculista un po’ atipica

|17 Dicembre 2023

Non è la prima volta in India, proprio in Andhra Pradesh sono stata 15 anni fa, in una missione chirurgica, anche se le mie missioni mediche sono state per oltre 25 anni soprattutto in Africa. 

Con Donatella, collega con forte carattere ed esperienza, già compagna di missione e di viaggio, abbiamo costituito un tandem per cercare di focalizzare le criticità sanitarie nel campus Daddy’s Home di Care &Share Charitable Trust a Vijayawada.

In realtà non è stato un lavoro a due, ma a tre, con Swarna, infermiera e tutrice sanitaria dell’intero campus, figura fondamentale, sulle cui spalle gravano 350 tra neonati, bambini e ragazzi. Swarna è una bella figura nel suo sari che le invidiavo molto, si fa carico – a tempo pieno – di un lavoro assistenziale e umano impegnativo e difficile, è stata per noi riferimento fondamentale, conosce come muoversi e interagire nella sanità locale e ci ha portato dagli specialisti esterni necessari per affrontare i casi difficili.

Ma… Swarna e’ sola, ha estremo bisogno di collaborazione, sostegno e confronto professionale, abbiamo cercato di darle una mano, di individuare grazie a lei le criticità sanitarie e darne cura. Inoltre insieme a Swarna abbiamo fatto uno screening oftalmologico a tutti i 350 ragazzi e ragazze del campus, a partire dai 3 anni, anche i piccoli hanno imparato – con il metodo del confronto – a indicare i simboli visivi, un modo questo per creare nuovi stimoli cognitivi ai piccoli, cosa di cui avrebbero tanto, tanto, tanto bisogno. 

Lo screening e le visite oftalmologiche sono state non solo un momento di attenzione e cura per tutto il campus, ma ci hanno permesso di approcciare da vicino ogni singolo bambino/ragazzo o ragazza .

Ora pero’ vorrei svelarvi che sono una oculista un po’ atipica, infatti fin dagli anni ’80 ho lavorato al Policlinico Universitario di Padova, a stretto contatto con gli infettivologi, prima nei progetti HIV, poi per la tubercolosi (TB), quindi  la mia attenzione è andata subito al gruppo di ragazzi e ragazze sieropositivi.

Ogni missione ha delle motivazioni e lascia un segno diverso, qui mi ha colpito la fragilità fisica e soprattutto psicologica delle ragazze hiv positive, che dopo una vita nel campus affrontano la loro condizione di giovani donne con grandi difficolta’ e senza una adeguata preparazione. Nei paesi occidentali non abbiamo conosciuto l’infezione da hiv per via materna, cioè la trasmissione verticale madre-figlio, una condizione legata alla miseria e alla mancanza di prevenzione!!! 

Così abbiamo visto come crescere nel campus che li ha raccolti dalla strada fin da piccoli, che  li ha inseriti nei progetti di cura che la sanità indiana garantisce per questa malattia, e che dovrebbe proteggerli dall’AIDS, ovvero lo stadio avanzato di malattia, non abbia in realtà potuto proteggerli abbastanza, infatti il connubio infettivo HIV/TB (Tubercolosi) ha avuto conseguenze sanitarie devastanti e talvolta letali per alcuni di loro.  

La TB è molto diffusa in India e in agguato nel  campus!!! Indubbiamente la dieta indiana adottata anche nel campus, una dieta tutta bianca (riso), priva di proteine, priva di frutta e verdura colorate, in particolare di vitamina A e D, non aiuta a crescere e a difendersi dalle malattie. 

Così… frequenti sono state le mie visite alla mensa: riso bianco, riso bianco, riso bianco, con un po’ di latte la mattina, di salsa gialla di lenticchie, il dahl, a mezzogiorno e la sera. 

Così… e’ partita la crociata alimentare anti denutrizione latente, denutrizione che facilmente diventa manifesta in caso di malattia. È partita la ricerca sul territorio della Vitamina A ad alte dosi e degli integratori proteici, facilmente reperibili visto che mancano nella dieta indiana, alta è stata la raccomandazione delle uova, della frutta e verdura pigmentate di rosso e giallo quali mango, papaia, mandarini, carote, quotidianamente 

Così… in questi giorni arrivano le foto di tutte le home con bambini che alzano le boccette di vitamina A e ci cantano: “thank you mummy…”. Dobbiamo fare che questo duri!!!

Come non finire con la grande emozione della festa di addio tra musica e danze, ci commuove fino alla lacrimuccia l’affetto che ci danno, da una parte, e la necessità di cura, di attenzioni che ci chiedono, dall’altra.

Pensiamo se, dopo averli raccolti per strada riusciranno ad avere un futuro migliore o si perderanno di nuovo per strada. Certo, gli e’ stata garantita la scuola, l’alimentazione, la cura del corpo e la sanità, un grande lavoro di care&share, anche se tutto come sempre è migliorabile, ma l’affetto e la fiducia nel futuro anche ai più fragili è una cosa difficile da dare.  

Forse toccherebbe a noi, se sappiamo prenderci la gioia interiore di tutto questo.

Sofia

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